Museo Civico Archeologico

Si rinnova anche quest’anno la manifestazione “Artelibro festival del libro d’arte”, ormai tradizionale appuntamento per appassionati e collezionisti del libro antico di pregio.
Tutte le istituzioni museali e bibliotecarie, le associazioni culturali, le gallerie d’arte, le librerie della città sono coinvolte in Artelibro con mostre e iniziative autonome e auto-organizzate, Bologna diventa una “biblioteca d’arte diffusa”.
Il Museo Archeologico ospita, nell'ambito della rassegna, l'importante mostra mercato dedicata al libro antico e di pregio; interverranno all'interno delle sale del Museo ben 31 antiquari dell'ALAI.

La mostra, promossa dal Museo Civico Archeologico e dalla Fondazione e Archivio Concetto Pozzati, è una personale dell’artista interamente dedicata alla moglie Roberta, recentemente scomparsa.
Le opere, allestite in più sale del museo, sono quadri di grandi dimensioni, tra cui un dittico di sei metri, ma anche piccole carte e collage delicati e intimi, dai colori chiari e luminosi.
Ci sono, sui quadri, le sue cose, i cappelli, le scarpe, i fazzoletti, gli abiti e le pantofole e c'è la scritta in corsivo “ciao Roberta”, come un appunto veloce e leggero, un messaggio, “una cartolina”.

orari di apertura
lunedì-venerdì: 9,00 - 15
sabato, domenica e festivi: 10 - 18.30
chiuso il lunedì

Ingresso libero

Per informazioni:

Museo Civico Archeologico
dott.ssa Daniela Picchi
tel 051/2757211
daniela.picchi@comune.bologna.it

Mostra a cura di: Comune di Bologna - Museo Civico Archeologico, ISIA di Urbino, Fiera del Libro per Ragazzi.

A partire dalle raffigurazioni dei più noti miti greci, presenti sui vasi attici del Museo Civico Archeologico di Bologna, gli artisti dell'ISIA di Urbino hanno tradotto in 30 tavole a colori le storie degli dei e degli eroi della Antica Grecia.
La mostra, rivolta soprattutto ad un pubblico di giovani e giovanissimi, propone la rilettura di un importante patrimonio figurativo dell'antichità per avvicinarlo allo sguardo sempre curioso dei piccoli visitatori.
Gli illustratori dell'Isia di Urbino sperimentano materiali e tecniche in modo da trovare nuovi ed originali linguaggi figurativi, per poter integrare in modo stimolante l'esperienza della visita al Museo.
Figura centrale di questo viaggio è Eracle, personaggio dalle mille avventure che i piccoli visitatori impareranno a conoscere lungo il percorso proposto, e con il quale, alla fine della visita, potranno immedesimarsi grazie alle divertenti installazioni disposte nel cortile del Museo, pronte per una "mitica" foto ricordo.

Il 5 maggio 1907, a breve distanza dall'amico e collega Giosue Carducci, moriva Edoardo Brizio. Primo direttore del Museo Archeologico, docente di archeologia dell'Università di Bologna e titolare della tutela archeologica del territorio, Brizio fu figura di primo piano nella cultura italiana post-unitaria. Partecipò infatti da protagonista a quella profonda revisione di metodi e contenuti che, nella seconda metà dell'800, investì l'archeologia italiana, facendola uscire dalle polverose stanze degli eruditi. Scavi controllati, tutela del territorio, moderni musei: l'ossatura delle nostre strutture di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nacque proprio in quegli anni, dalla ferma volontà di un manipolo di uomini che vedeva un nesso profondo fra il "restituirsi ad unità" della patria e la ricerca delle sue radici prime e del suo glorioso passato. Sono questi anche gli anni in cui l'archeologia si apre allo studio del passato più antico dell'uomo e contamina il suo sapere con quello dei naturalisti e dei geologi. La mostra didattica che il Museo Civico Archeologico ha organizzato in collaborazione con il Comune di Bra, città natale di Brizio, ripercorre le tappe fondamentali della vita di questa grande personalità dell'archeologia italiana, e si apre in significativa concomitanza con la chiusura della mostra che l'Archiginnasio ha dedicato a Giosue Carducci, che fu pieno di interesse per ciò che il collega archeologo andava scoprendo i quegli anni sulle antiche genti che popolarono Bologna, tanto da trasporne poeticamente le teorie nell'ode "Fuori dalla Certosa di Bologna".

Riflettendo sulle diverse possibilità di intervento, dopo aver visitato il Chiostro di Villa Vogel, ho sentito l'esigenza di ideare e realizzare un progetto che instaurasse una sintonia, uno stretto rapporto, con l'identità del luogo. Ma nello stesso momento, mi sono reso conto che questo desiderio nasceva in qualche modo da una correlazione, una vicinanza, tra l'essenza del chiostro e alcuni aspetti che riguardano lo spirito e la concezione di diversi miei lavori. Esiste una speciale relazione tra il chiostro e il cielo, passaggio e anello di congiunzione tra microcosmo e macrocosmo, tra universo chiuso e spazio infinito, il lavoro nasce e prende forma a partire da questo indissolubile rapporto. Ciò che si osserva guardando verso l'apertura, il cielo, qui viene riproposto, appena sollevato dal piano di calpestio, attraverso una superficie quadrata di specchio azzurro che ripercorre il perimetro dello spazio aperto. Da essa affiorano punti luminosi, anche infinitesimali, stelle di una doppia galassia immaginaria, che si disegnano attraverso un ribaltamento simmetrico sull'asse della diagonale, creando un doppio speculare, cogliendo così anche le suggestioni delle teorie scientifiche e filosofiche relative agli "infiniti mondi", ai "mondi paralleli", fino al "paradosso della replicazione infinita". Il piano di specchio, inteso da me come l'immagine metaforica dell'acqua, ma allo stesso tempo anche del cielo, crea un riflesso vertiginoso, un vuoto, dove la configurazione delle galassie diventa una sorta di sottile e puntiforme diaframma, tra la dimensione del sopra e la visione illusoria del sotto e si combina e si mescola, come in un'immagine sovrapposta, con il riflesso dell'architettura del luogo, e con il quadrato di cielo dello spazio aperto. L'intento era anche quello di creare un piano sospeso che tendesse ad aprire, che aspirasse, ad una sensazione di leggerezza, sfruttando le qualità riflettenti dello specchio, l'impalpabilità della luce e la distanza evocata dall'immagine delle galassie. Come in una visione quasi onirica in una corrente calma e fluida, come in una variabile sovrapposizione, le immagini lacustre e cosmica si fondono condividendo l'idea di galleggiamento. Le stelle, alcune quasi spente o poco luminose, suggeriscono una visione dilatata, dove sembrano espandersi infinite gemmazioni e infinite mancanze.

Andrea Santarlasci

Mostra promossa da: Arte Fiera, Comune di Bologna - Museo Civico Archeologico, Corraini Edizioni
curata da: Giorgio Maffei in collaborazione con Corraini Edizioni, Mantova.

Un movimento artistico, pur in qualche modo strutturato da un critico fin dai suoi esordi, controllato dalla presenza di gallerie di riferimento, mosso da un’affinità di intuizioni, di metodo e di strategie, conserva una spiccata individualità dei singoli tanto forte da sfumare i contorni della sua stessa poetica e da rendere impreciso e provvisorio ogni tentativo di ordinamento. In questo caso, persino la sua genesi, il suo sviluppo e il suo compimento restano indefiniti, frammentati da inclusioni, rinunce e sconfessioni che costringono ad una continua revisione della sua storia.
[…] Questa rappresentazione attraversa città e palcoscenici diversi, animata da un cast di attori, registi e comprimari che talvolta mutano, scompaiono e riaffiorano per recitare un copione sempre originale e seducente.

Giorgio Maffei, “Arte Povera 1966-1980. Libri e documenti”, Corraini Edizioni, Mantova 2007

Già molti soggetti autorevoli hanno promosso e curato l’organizzazione di mostre o pubblicazioni sulle opere e gli artisti dell’Arte Povera; ma la recente ricerca che Giorgio Maffei ha condotto sui libri, i documenti e le testimonianze storiche legate a questo movimento offre l’opportunità di occuparsi di Arte Povera da un punto di vista ancora poco esplorato: quello della documentazione.

Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Kounellis, Mario e Marisa Merz, Paolini, Pascali, Penone, Pistoletto, Prini, Zorio: l’idea è quella di offrire una visione d’insieme di gran parte della loro produzione editoriale – i libri d’artista – e una ricca esposizione di manifesti, brochure, locandine e inviti legati alle loro mostre personali, collettive e alle loro eventuali performance. Si avranno a disposizione le copertine e gli articoli originali tratti da riviste e periodici dell’epoca come Acrobat Mime Parfait, AEIUO, a~ßeta, B•t, Cartabianca, La Città di Riga, Data, flash art, Imprinting, Made in, Mèla, Pallone, schema informazione, Senzamargine; di alcune di queste pubblicazioni saranno presenti gli originali di interi numeri così come in originale si potrà disporre dei saggi sull’Arte Povera. A completare questo omaggio, una serie di fotografie d’autore con i ritratti degli artisti stessi.

Il materiale in mostra sarà diviso per tipologie e ordinato cronologicamente con commenti dello stesso Giorgio Maffei. Una particolare attenzione sarà prestata nella selezione delle citazioni tratte dal materiale originale, per fornire uno spaccato fedele dei pensieri e delle dichiarazioni degli artisti in prima persona.

Esiste un ormai cospicuo patrimonio di esperienze, nella scultura italiana moderna, che parlano il linguaggio della terra: la terra come materia primaria e possibilità infinita di forma, e soprattutto come luogo proprio della produzione di senso, fino al limite dell'identificazione stessa con l'idea di plastica. Arturo Martini, Lucio Fontana, Fausto Melotti, Leoncillo rappresentano, per i decenni trascorsi, i fattori di continuità e di intensità di questo pensare scultura (che coltiva in sé tra l'altro la dimensione prestigiosa di una fattura italiana); Nanni Valentini ne incarna una delle punte più avanzate di consapevolezza culturale e di distillazione qualitativa. Un documento esemplare del suo modo di intendere e praticare la scultura e il lavoro presentato in questa occasione, in cui concorrono e si intersecano più vettori espressivi sostanziali. Primo fra tutti, l'aspetto più tipicamente manuale, di prassi che consiste nell'instaurare con il materiale una sorta di complicità attiva capace di suscitarne le più segrete e sensuose possibilità di manifestazione, dal colore agli assetti formali.
La sua, tuttavia, non e una messa in forma secondo le modalità tradizionali della plastica. Se la scultura è determinazione dei valori di spazio attraverso forme tangibili, esse possono concretarsi come puri differenziali qualitativi, come rapporti plastici fondati sulle radianti facoltà di senso intrinseche al materiale stesso: lungo quel filo estrémo che non è rappresentazione, ma è gia conoscenza al grado più intenso perchè intuizione poetica profonda.
In questo modo Valentini può coinvolgere un altro livello di ricerca assai importante, quello della riflessione sulla pensabilità stessa della scultura in quanto orizzonte linguistico (e non strettamente disciplinare) compiuto e coerente, a partire dalla concettualizzazione dei suoi valori portanti e dei suoi sedimenti culturali.

Il 20 settembre di un anno fa ci lasciava Lucio Gambi (Ravenna 1920 - Firenze 2006), insigne geografo e primo presidente dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna (IBC). A lui è dedicata la mostra “Uno sguardo lento: L’Emilia-Romagna nelle raccolte fotografiche dell’IBC” che sarà inaugurata giovedì 15 novembre 2007, alle 17.30, presso il Museo Civico Archeologico di Bologna.
La mostra raccoglie una selezione delle fotografie conservate nella fototeca dell’IBC e che hanno costituito il commento visivo delle ricerche svolte in trent’anni di attività sul territorio, partendo da quelle più strettamente collegate all’impostazione di Gambi, come gli studi sulla casa rurale e l’insediamento storico, la definizione di unità di paesaggio e di aree culturali omogenee.
Tra gli autori delle 160 fotografie vi sono Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Nunzio Battaglia, Michele Buda, Alessandra Chemollo, Paola De Pietri, Corrado Fanti, Vittore Fossati, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Paolo Monti, Enrico Pasquali, Vanna Rossi, Claudio Sabatino, Riccardo Vlahov, Giovanni Zaffagnini. Particolarmente celebri sono le foto scattate quarant’anni fa da Paolo Monti per documentare i centri storici di molte città della regione e in occasione delle prime campagne di rilevamento dei beni culturali condotte nelle aree appenniniche.
La mostra si compone anche di immagini tratte da fondi fotografici di cui l’IBC possiede le riproduzioni, come ad esempio le foto Alinari (anni Venti), quelle scattate negli anni Venti e Trenta dall’etnografo zurighese Paul Scheuermeier, quelle del naturalista forlivese Pietro Zangheri (ancora degli anni Trenta), infine quelle dell’archivio fotografico dell’ Ente regionale sviluppo agricolo e di Enrico Pasquali (anni Cinquanta e successivi). Una occasione per ripercorrere gli aspetti salienti del paesaggio regionale nell’arco di un intero secolo, visualizzandone le trasformazioni rispetto al paesaggio della tradizione, evocato grazie a una serie di riproduzioni cartografiche storiche (catasti, cabrei, carte degli stati pre-unitari).
Uno sguardo costante che l’IBC ha posato sui luoghi con misurata lentezza: tornando più volte, verificando con insistenza, esplorando minuziosamente.

Il catalogo della mostra è edito da Clueb, Bologna.