Museo Civico Medievale
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Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
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Collezioni Comunali d'Arte
Piazza Maggiore, 6
40121 Bologna
tel. 051 2193998
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Museo del Tessuto e della Tappezzeria "Vittorio Zironi"
Via di Casaglia, 3
40135 Bologna
tel. 051 2194528 - 2193916
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Sedicesimo appuntamento della rassegna ospiti: dal 16 dicembre al 18 marzo le Collezioni Comunali d' Arte di Bologna presentano il dipinto Vecchia contadina di Giacomo Ceruti proveniente dalla collezione eredi Monti della corte di Brescia.
L' opera -- realizzata insieme al pendant denominato il Bravo nel decennio 1730-1740 - è uno dei capolavori di Giacomo Ceruti (1698-1767), tra i maggior interpreti del genere pauperistico nell' ambito del naturalismo settecentesco europeo. Nel solco della tradizione lombarda del realismo caravaggesco, le sue opere presentano notevoli legami con la cultura europea seicentesca: dai fratelli Le Nain - nelle cui opere indigenza, miseria esistenziale, fame si coniugano con una dignità assoluta dei soggetti ed un senso religioso cosmico -- a Georges de la Tour, dalle incisioni di matrice nordica ai pittori spagnoli del Siglo de oro come Velazquez.
Attivo tra Lombardia e Veneto, e segnatamente nel bresciano, Ceruti fu anche influenzato da un ambiente socio-culturale caratterizzato da istanze di matrice preilluminista, sedimentate tradizioni sociali ed una cultura pittorica dedita a temi pauperistici.
L' innesto del pensiero giansenista sulla matrice della riforma cattolica borromaica aveva infatti portato in questa area - parallelamente alla diffusione di una devozione popolare che esigeva immagini umanizzate e realistiche rese con un linguaggio divulgativo e immediato - all' emergere tra le classi aristocratiche di ideali di austerità ed eticità nel quotidiano, tradotti nel forte sviluppo delle attività caritatevoli e sociali quali ospizi, ospedali, orfanotrofi.
In questo contesto, i temi popolar-pauperistici - in particolare quello della vecchiaia esibita impietosamente e spesso connessa all' obiettivo moraleggiante della vanitas e del conseguente tempus fugit - già interpretati da altri autori di ambiente lombardo in chiave simbolico-grottesca, assunsero con Ceruti valenze culturali ed estetiche di segno assolutamente diverso che prefiguravano tensioni intellettuali e morali di stampo preilluminista, attraverso il pieno recupero della verità umana nelle realtà più profonde.
La Vecchia contadina, con la sua percezione palpabile di polvere e di stracci, la materia pittorica densa e carnosa, la profonda e partecipata visione di un' umanità al margine, rappresenta un singolare antefatto del realismo ottocentesco grazie all' altissima tenuta espressiva, la rigorosa e austera semplificazione del contesto, la concentrazione iperrealistica nei dettagli.
La mostra è stata organizzata dal Consiglio Notarile di Bologna e dal Consiglio Nazionale del Notariato in collaborazione con l'Archivio di Stato e i Musei Civici d'Arte Antica nell'ambito delle "Celebrazioni Rolandiniane" per "Bologna Città Europea della Cultura del 2000".
E’ stato il fondatore del notariato moderno e i suoi testi, per secoli, hanno “dettato legge” in tutti i paesi del mondo in cui vigeva il diritto latino. Ma Rolandino (1215 - 1300) non è stato solo l’autore della celebrata “summa totius artis notarie” e grande maestro dello Studium bolognese, fu anche un politico che, in una Bologna attanagliata dalle continue contese fra le fazioni dei guelfi e dei ghibellini, pilotò il passaggio dei poteri dalla vecchia aristocrazia alla nuova borghesia colta, il “popolo”. Lo fece con piglio deciso, riuscendo a tenere saldamente in mano, per un decennio, il governo della città, creando anche una milizia popolare, la “società della croce”, di cui assunse il comando. Quando Bologna venne assegnata al papato, Rolandino uscì dalla scena politica per riprendere l’insegnamento universitario, in uno Studium che era intanto rinato e il cui prestigio, soprattutto nell’ambito giuridico, cominciava ad essere universale. Intanto le corporazioni delle Arti e dei Mestieri si erano affermate, assumendo un peso che nessun potere politico poteva scalzare più. La corporazione dei notai raggruppava ben 1300 aderenti ed era divenuta un fortissimo centro di potere, testimoniato visivamente anche dalla imponente sede che, unica fra quelle delle arti e professioni, sorgeva direttamente su piazza Maggiore.
Le quattro sezioni in cui si articola la mostra offrono una lettura sociale del Duecento, il secolo d’oro di Bologna e insieme evidenziano come imprenditoria e politica, in quel secolo, non fossero disgiunte dalla passione per la cultura. Era del tutto normale, ad esempio, che i notai si occupassero di poesia, per cui in moltissimi atti, accanto alle scritture ufficiali che registrano doti, passaggi di proprietà, lasciti testamentari, vengano annotati i versi dei poeti in voga al momento: Jacopo Lentini, Re Enzo, Guido Guinizelli, ma anche dei toscani Dante, Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri, Cino da Pistoia e, con la poesia in volgare, i versi di canzoni e filastrocche popolari. Accanto ai testi di Rolandino, nelle prime versioni manoscritte e miniate e nelle successive in incunabolo e a stampa, alle molte traduzioni internazionali e alle altre opere dei maestri giureconsulti dello Studium bolognese del tempo, la mostra documenta, attraverso l’esposizione degli splendidi statuti miniati, il peso ed il prestigio che ebbero in epoca comunale di corporazioni delle Arti e dei Mestieri.
La Bologna del Duecento rivive anche in antiche raffigurazioni e attraverso documenti di grande suggestione e, spesso, di non minore bellezza. Vengono esposti - alcuni per la prima volta - documenti dell’antico Comune bolognese e dell’Ufficio dei Memoriali. Completa la mostra un' indagine sulla figura politica di Rolandino, sezione, questa, simbolicamente chiusa dalla presentazione del calco della sua celebre arca.
Nono appuntamento della rassegna Incontri&Arrivi con tre capolavori in terracotta della scultura bolognese tra Barocco e Neoclassico recentemente acquisiti dai Musei Civici d'Arte Antica: una Madonna con bambino di Giuseppe Maria Mazza e due bozzetti di Giacomo De Maria raffiguranti la Morte di Virginia. L'acquisizione delle tre opere alle raccolte pubbliche, che si inscrive nel più ampio programma di recupero delle testimonianze dell'arte e della storia cittadine perseguito dai musei, riveste particolare importanza come attestazione dell'evoluzione del gusto della scultura bolognese tra Barocco e Neoclassico nella continuità d'uso di un materiale "povero" come la terracotta.
Il magnifico bassorilievo della Madonna con bambino è probabilmente opera giovanile del Mazza (Bologna, 1653-1741), uno dei maggiori scultori bolognesi della piena età barocca. Allievo di Canuti e Pasinelli e protetto del mecenate conte Fava, Mazza si sarebbe affermato come modellatore in terracotta e stucco, trasferendo nell'opera plastica gli elementi della tradizione pittorica dei Carracci, di Cantarini e di Reni.
Questa scultura, pur rimandando nella tipologia della Vergine e nel taglio di tre quarti della figura ai modi delicati di Pasinelli e Cantarini, esprime però un vigore pienamente barocco, riconducibile a Canuti ed a Cignani, nella composizione tutta risolta in ampi piani aggettanti, nelle pieghe plastiche del panneggio e del velo e nell'atteggiamento trionfante del bambino che regge il globo.
L'opera - già appartenuta alla collezione del critico Francesco Ghedini ed esposta per la prima volta nel 1935 alla mostra del Settecento bolognese curata da Longhi e Zucchini e nel 1965 a quella sulla scultura bolognese del Settecento organizzata dall'Associazione Francesco Francia -è stata reperita sul mercato antiquario e verrà collocata stabilmente nel Museo Davia Bargellini accanto alle opere del Mazza già possedute dal Museo ed al ritratto dell'artista, recentemente acquistato, opera di Giovanni Antonio Burrini.
La formazione artistica di Giacomo De Maria (Bologna, 1762-1838), il più noto scultore bolognese di età neoclassica, fu improntata dalla tradizione bolognese dell'Accademia Clementina e successivamente dai nuovi modi del gusto neoclassico appresi, insieme alle tecniche di lavorazione del marmo, come allievo del Canova a Roma. Tornato nella sua città, si affermò con opere di stucco candido --ad imitazione del marmo, assai raro a Bologna -- materiale che gli consentì di proseguire la tradizione locale del modellato morbido, come nelle statue (1800-1802) per lo scalone del Palazzo Hercolani in Strada Maggiore, nelle sculture per gli appartamenti del Direttorio in Palazzo Comunale ristrutturati in epoca giacobina secondo il gusto neoclassico, in numerose statue del cimitero della Certosa istituito dai decreti napoleonici e nel timpano con gli dei dell'olimpo per la villa del conte Aldini all'Osservanza. Nominato professore dell'Accademia dal governo filofrancese, De Maria rimase presidente della prestigiosa istituzione anche sotto il restaurato governo pontificio, fino al 1831.
L'acquisto sul mercato londinese dei due bozzetti della Morte di Virginia consente il ritorno a Bologna di una preziosa testimonianza della storia artistica e culturale cittadina. I bozzetti-- che rappresentano il momento culminante della nota tragedia dell'Alfieri, molto apprezzato anche nel salotti bolognesi --vennero modellati in vista della realizzazione in marmo di Carrara dell'opera, il cui gesso preparatorio è conservato presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna. Commissionata da un gruppo di notabili cittadini, e poi acquistata dopo diverse peripezie da un gentiluomo britannico, l'opera in marmo, che reca la firma dell'artista e la menzione della sua patria, venne donata dagli eredi del committente alla Galleria Nazionale di Liverpool, nel cui atrio è ancora oggi esposta.
I due bozzetti, diversi fra di loro, mostrano il perfezionarsi dell'idea in corso d'opera e la tecnica dell'artista, conservando nell'immediatezza del modellato e nelle tracce visibili della stecca e del pollice tutta la freschezza dell'improvvisazione, nonché i nessi che il De Maria ancora intrattiene con la brillante tradizione settecentesca bolognese.
Nell’ambito delle manifestazioni per "Bologna Città Europea della Cultura del 2000", il Comitato Bologna 2000 ed i Musei Civici d’Arte Antica promuovono una mostra sulla famosa "Pietra di Bologna", una falsa iscrizione funeraria romana dedicata dall’immaginario Lucius Agatho Priscus ad una misteriosa Aelia Laelia Crispis "né uomo né donna né androgino, né fanciulla né giovane né vecchia…". La lapide, scolpita nel secolo XVI per volontà del Gran Maestro dei Cavalieri Gaudenti Achille Volta, era collocata nel complesso di Casaralta, luogo di delizie e priorato dell’ordine stesso. Divenuta col tempo illeggibile, venne fatta ricopiare nel secolo successivo dall’omonimo nipote di Volta. Fortunosamente scampata ad un bombardamento aereo che nel corso dell’ultimo conflitto distrusse il complesso di Casaralta, la lapide è attualmente esposta nel Lapidario del Museo Civico Medievale di Bologna.
L'enigma in lingua latina, che si inserisce nel clima di sottile intellettualismo, esclusivo e perfino esoterico, che caratterizzava buona parte della cultura letteraria manierista, ha per secoli sollecitato congetture e ipotesi interpretative da parte di illustri studiosi e letterati. Seguendo una sorta di rito, raramente i viaggiatori colti si esimevano dal programmare una visita a quel misterioso, attraente testo inciso nella pietra, che secondo il letterato secentesco Emanuele Tesauro, "sarebbe bastata da sola alla fama di Bologna". Le più disparate soluzioni, frutto di appassionati ragionamenti di pensatori, eruditi, storici, intellettuali, cultori di esoterismo e alchimia, si intrecciavano in complesse e a volte stravaganti soluzioni. Perfino alcuni scrittori, in particolare Walter Scott e Gérard de Nerval, affascinati da questa famosa lapide, non mancarono di citarla nei loro romanzi e racconti.Alcuni affermano che interpretando il testo si possa arrivare al compimento dell’opera, cioè alla pietra filosofale; altri, di rimando, lo giudicano il frutto di un raffinato gioco, in definitiva uno scherzo intellettualistico; altri ancora, appassionati cultori di enigmistica, propongono fantasiose ipotesi. A questo stuolo si aggiungono gli scettici che, ritenendo senza nesso logico le parole, pensano che si tratti di un puro virtuosismo verbale fine a se stesso. Ma nonostante la pletora delle ricerche e delle congetture, l’enigma rimane tuttora insoluto. Scopo della mostra, curata con rigore scientifico, è quello di chiarire le molte vite di Aelia Laelia Crispis, "ricevute" dalle molteplici, variegate congetture avanzate fino a tutto l’Ottocento. Avvalendosi di diversi documenti e pubblicazioni, l’esposizione avvicina i visitatori all’ambiente culturale in cui fu concepito questo raffinato testo ermetico, li aiuta a coglierne lo spirito fornendo, di conseguenza, un ausilio per rintracciare una chiave di lettura ben distante dalle fantasiose, suggestive interpretazioni fornite, in passato, da letterati, eruditi e scrittori.
La mostra è stata organizzata da Bologna dei Musei in collaborazione con i Musei Civici d’Arte Antica, il Civico Museo Bibliografico Musicale e l’Accademia Filarmonica. La musica non si ascolta soltanto: la musica si rappresenta, si dipinge, si scrive. La mostra L’arte della musica raccoglie insieme musica dipinta, musica scritta, strumenti musicali declinando nelle diverse forme le possibilità della più inesprimibile delle arti, la musica. Sei dipinti scelti tra i capolavori del Civico Museo Bibliografico Musicale, due preziosi strumenti antichi del Museo Civico Medievale, accanto ad alcuni tra i più preziosi reperti documentari e bibliografici delle collezioni del Civico Bibliografico Musicale e dell’Accademia Filarmonica consentono di raccontare attraverso gli oggetti uno dei periodi più affascinanti della storia di Bologna: quel secondo Settecento che vide Padre Giambattista Martini raccogliere la principale biblioteca musicale del tempo e la sua unica collezione di ritratti di più di 300 musicisti di ogni epoca e scuola. Sono gli anni in cui a Bologna vive il suo dorato esilio Carlo Brioschi, detto Farinelli, il maggior cantante di ogni tempo e gli anni in cui il giovane Mozart, accompagnato dal padre Leopold, si cimenta col celebre esame di contrappunto, il cui manoscritto è conservato all’Accademia Filarmonica. A quegli anni, a quella storia e all’illustre storia della musica e delle raccolte musicali bolognesi è dedicata questa mostra, che accosta, dopo decenni, le diverse versioni del compito del fanciullo prodigio e rivela alla città capolavori nascosti nelle sue collezioni.
Ottavo appuntamento della rassegna Incontri & arrivi con Tre storie di Gesù opere giovanili di Donato Creti (Cremona 1671--Bologna 1749), recentemente acquisite e restaurate dai Musei Civici d’Arte Antica. Le tre tavolette (Salita al Calvario, Crocefissione, Trasfigurazione), sconosciute fino ad oggi agli studiosi, appartengono ad una serie - ora incompleta e dispersa in collezioni diverse - di Misteri del Rosario. Di questi, ne erano finora noti dieci, oggetto di ripetuta attenzione da parte della critica: l’Annunciazione e la Visitazione, conservate presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Flagellazione recentemente passata sul mercato bolognese, oltre ad altri sette (Disputa di Gesù nel Tempio, Cristo nell’orto degli ulivi, Coronazione di spine; Pentecoste, Ascensione, Incoronazione della Vergine) di ubicazione ignota, come la Madonna del Rosario e San Domenico appartenente alla stessa serie. Attribuite nel 1977 a Giovan Gioseffo dal Sole (Bologna 1654-1719) e successivamente espunte dal catalogo dell’artista, le tavolette sono state ascritte nel 1992 da Angelo Mazza all’attività giovanile di Donato Creti, a seguito della riscoperta di altre opere inedite avvicinabili alla serie, fra cui i Misteri eseguiti dall’artista per la parrocchiale di Fiesso, nella campagna bolognese.
Tipica dello stile pittorico dell’artista -- uno dei massimi esponenti della cultura figurativa del Settecento ed erede della grande tradizione bolognese dei Carracci e di Guido Reni – è l’esecuzione rapida e nervosa delle opere, che trae origine dalla facilità e dall’estemporaneità di tratto della sua attività grafica.
Il restauro delle opere, a cura di Mirella Simonetti, e la piccola pubblicazione che accompagna la loro presentazione sono stati possibili grazie alla generosità del Lions Club Bologna Archiginnasio. In mostra e nella brochure sono documentate le varie fasi del restauro e alcuni aspetti della tecnica pittorica di Donato Creti, su cui è in corso una ricerca più ampia a cura dei Musei Civici di Arte Antica.
Le tavolette verranno stabilmente esposte presso la Sala Vidoniana delle Collezioni Comunali d’Arte accanto a quello che costituisce il maggiore insieme unitario di opere dell’artista esposto in un pubblico museo: i famosi diciotto dipinti di soggetto mitologico ed allegorico donati nel 1744 da Marco Antonio Collina Sbaraglia al Senato cittadino - recentemente presentati con grande successo presso il Metropolitan Museum di New York e il Los Angeles County Museum di Los Angeles nella mostra Donato Creti. Melancholy and Perfection – cui si affiancano acquisizioni successive da parte del Comune di Bologna (il bozzetto per la Memoria Sbaraglia affrescata su muro nel portico superiore dell’Archiginnasio, una tela con Due fanciulli che giocano che dà vita autonoma ad uno splendido particolare della stessa Memoria, un Satiro e Amorino proveniente dalla Collezione Volpe).
Quindicesimo appuntamento della rassegna "ospiti": dal 20 aprile al 23 luglio 2000 le Collezioni Comunali d' Arte di Bologna presentano il dipinto Dioniso e Arianna di Giovanni Antonio Burrini, proveniente da una importante collezione privata di Vignola. Giovanni Antonio Burrini (Bologna, 1656-1727) fu uno dei maggiori pittori bolognesi fra Sei e Settecento, capace di fondere le influenze classiciste e barocche assorbite dallo studio degli affreschi carracceschi in palazzo Fava e dall'insegnamento degli ultimi maestri ancora sulla scena (Canuti, Pasinelli, Cignani, Franceschini) con il cromatismo "veneto" delle opere di Tiziano, Tintoretto e Paolo Veronese conosciute grazie al mecenatismo del gentiluomo bolognese Giulio Cesare Venenti. Molteplici le esperienze figurative dell' artista, suddivise tra la realizzazione di opere decorative di grande successo - gli affreschi di palazzo Ratta, del cortile dell' Archiginnasio, della Villa Albergati a Zola Predosa (1681-1684), della chiesa dei Celestini, di palazzo pubblico e di palazzo Alamandini - e delle pale d'altare dai sorprendenti esiti cromatici per la collegiata di Mirandola, la chiesa di San Giacomo a Bologna e quella di Sant' Eufemia a Ravenna. Dioniso e Arianna -- esposto per la prima volta nel 1986 nella mostra "Nell' età del Correggio e dei Carracci" poco dopo l'ingresso in una collezione bolognese con attribuzione a Burrini formulata da Anna Ottani Cavina -- è forse il quadro più seducente dell' intera produzione dell' artista. Definito "uno degli esiti più sorprendenti e, nel campo della pittura profana, dei più moderni del seicento bolognese prima di Crespi", il dipinto segna l'apice qualitativo della produzione di Burrini per il moderno equilibrio tra tradizione bolognese e recupero dei modelli della cultura figurativa veneta del Cinquecento.
La mostra è stata organizzata dai Musei Civici d’Arte Antica nell’ambito delle iniziative per "Bologna Città Europea della Cultura del 2000", con la collaborazione della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Bologna e di alcuni dei più autorevoli studiosi italiani e stranieri d’arte medievale; curatori Eugenio Riccòmini e Massimo Medica.
La mostra intende rievocare, attraverso le trame dell’arte locale, uno dei periodi di massima fioritura della città: nel corso del XIII secolo Bologna si segnala infatti come una delle maggiori capitali d’Europa, allora più grande di Londra, di Colonia e della stessa Parigi. Come per altre città padane, la maggiore autonomia politica e l’affermazione delle magistrature comunali fu resa possibile, alla morte di Enrico VI nel 1197, dall’allentarsi del potere imperiale sui domini italiani; ma ancor più epico sarebbe stato, per la città , il contrasto vittorioso con il nuovo imperatore Federico II, che quelle stesse autonomie cercò di annullare ed il cui figlio Enzo consumò la propria vita proprio a Bologna, in una lunga prigionia dorata.
Sede di un’Università in continua espansione, la città si caratterizza a livello europeo come uno dei più importanti centri di studio, polo assai vivo di scambi culturali e punto di incrocio di tendenze artistiche di diverse origini, grazie anche all’intervento degli ordini religiosi. Aperta assai per tempo agli influssi del Gotico d’oltralpe ed alle diverse sollecitazioni dell’arte bizantina, la città manifesta anche una vivace comunicazione con i contemporanei fatti della cultura dell’Italia centrale, come testimoniano—oltre al precoce episodio legato alla decorazione del Santo Sepolcro in Santo Stefano, probabile opera del lucchese Marco Berlinghieri – le opere di Giunta Pisano e di altri maestri giunteschi provenienti dalla Toscana e dall’Umbria, nonché la maestà di Cimabue. Risalgono a questo periodo anche alcuni dei più importanti interventi architettonici ed urbanistici compiuti nella città, come documentano la realizzazione del Palazzo del Comune e dell’adiacente piazza pubblica (oggi Piazza Maggiore) e la costruzione dei grandi complessi conventuali degli Ordini Mendicanti, ad iniziare da San Domenico e San Francesco. Una vicenda in larga misura ancora inesplorata che la mostra intende ripercorrere, riunendo per la prima volta circa centocinquanta opere –comprendenti dipinti su tavola, affreschi, sculture, codici miniati, oreficerie, avori, vetrate e tessuti-- provenienti, oltre che dalle chiese e dalle collezioni cittadine, da varii musei e collezioni italiani e stranieri.
Seguendo un percorso espositivo articolato in più sezioni, si potranno pertanto ammirare, a fianco della grande Croce dipinta da Giunta Pisano per la Chiesa di San Domenico e degli altri crocifissi duecenteschi ancora oggi conservati a Bologna e nella Romagna, la maestà di Cimabue della Chiesa dei Servi e alcuni importanti frammenti scultorei appartenuti all’Arca di San Domenico, opera di Nicola Pisano, per la prima volta riuniti a Bologna dopo la loro dispersione. verranno inoltre esposti alcuni capolavori dell’oreficeria (Reliquiario di S. Luigi) e soprattutto della decorazione libraria, a testimonianza dell’attività svolta sia dagli scriptoria laici d’ambito universitario (per lo più legati al settore dei testi giuridici) che da quelli conventuali. La mostra sarà quindi l’occasione per ripercorrere gli sviluppi della miniatura locale, il cui avvio agli inizi del secolo appare ancora non del tutto chiarito.
COMUNE DI BOLOGNA
Settore Musei Civici di Bologna
via Don Minzoni 14
40121 Bologna