1506: la cacciata dei Bentivoglio. 21 ottobre 2006 - 7 gennaio 2007

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La mostra organizzata dal Museo Civico Medievale si articola in tre sezioni, principalmente dedicate alla cacciata della signoria dei Bentivoglio, avvenuta il 2 novembre 1506, ad opera di Papa Giulio II della Rovere. Attraverso una contestualizzazione storica rivolta alle figure dei principali protagonisti delle vicende famigliari bentivolesche viene attraversato il fertile clima artistico che andò diffondendosi a Bologna nella stagione del Rinascimento. Nella prima delle sezioni di cui si compone la mostra, incentrata sui Bentivoglio signori di Bologna, si entra nel vivo dell'argomento, poiché vengono a delinearsi, attraverso l'esposizione di pregevoli opere, alcune fra le più significative personalità attive nell'orbita della cultura artistica bentivolesca, Ercole de' Roberti, Francesco Francia, Amico Aspertini. Infatti, ai preziosi manufatti in avorio, legno e ceramica che evidenziano il raffinato gusto bentivolesco, si alternano arredi provenienti da dimore e ville appartenute ai Bentivoglio, come il cassone in legno intarsiato con paraste dorate attribuito alla bottega dei De Marchi di Crema; l'opera è giunta dalla domus jocunditatis, il castello dei Bentivoglio a Ponte Poledrano, la più celebre fra le delizie bentivolesche, costruita tra il 1475 e il 1480-81, che ospita tra l'altro il rinomato ciclo decorativo con le Storie del pane, eseguito nell'ambito della committenza di Giovanni II Bentivoglio. Di quest'ultimo è esposto un importante ritratto eseguito da Ercole de’ Roberti negli anni tra il 1485 e il 1486, sulla fine del suo secondo soggiorno bolognese, stilisticamente affine ad altre due opere realizzate in quel periodo per Bologna, la predella della pala dell'altare maggiore nella chiesa di San Giovanni in Monte, ora smembrata tra Dresda e Liverpool, e i perduti affreschi della cappella Garganelli in San Pietro, di cui non rimane che il celeberrimo frammento della Pinacoteca Nazionale, "così furente e acuminato nell'urlo solitario della Maddalena" (Emiliani). Giovanni II si staglia dal fondo scuro elegantemente abbigliato; nel suo volto un'espressione di orgoglio degna di un dominus: è infatti all’apice del suo potere politico e finanziario, figura autorevole per la capacità di mantenere la pace tra le diverse fazioni cittadine e di giungere al vertice dell'oligarchia senatoria, destreggiandosi abilmente fra i potenti, il papa, i Medici e gli Sforza. Il frammento di tavola con la Madonna annunciata di Francesco Francia è occasione per introdurre, dopo il ritorno di Ercole de' Roberti a Ferrara, il pittore privilegiato della cultura bentivolesca, alla quale riuscì a dare espressione attraverso un linguaggio colto e raffinato. Collocabile intorno al 1500, negli anni in cui dipinge l'Annunciazione e santi per la chiesa della Santissima Annunziata, l'opera rivela un linguaggio particolarmente asciutto, dove la figura della Vergine è colta nella sua essenzialità, come isolata nello spazio, assumendo un valore quasi iconico, in base ad una tendenza arcaizzante coltivata dall'artista alla ricerca di un'arte di più semplice e diretta comprensione.


Cronologicamente prossimo al frammento di Francia è anche il bel Ritratto virile (1504 ca.) ascritto ad Amico Aspertini, illustre esponente della cerchia di artisti e intellettuali gravitante attorno alla corte bentivolesca, di lì a breve all'opera negli affreschi della chiesa di Santa Cecilia. Gli anni che si riferiscono alle opere esposte preludono ad un deciso cambiamento di rotta nella politica di Giovanni II: di fronte alle continue pressioni esercitate da alcune famiglie aristocratiche bolognesi e dalla Chiesa, desiderosa di rimpadronirsi della città, il signore di Bologna reprime con durezza le istanze dei suoi oppositori, finendo per provocare l’intervento di papa Giulio II della Rovere, che alla testa delle truppe papali entra trionfalmente a Bologna. Questo particolare momento è in parte rievocato nella seconda sezione (La cacciata dei Bentivoglio) anche attraverso l'esposizione di armi e armature dell'epoca, appartenute in alcuni casi ad eminenti rappresentanti della famiglia Bentivoglio, come nel caso della daga a cinquedea con stemma Bentivoglio, di proprietà di Annibale Bentivoglio. L'odio rivolto verso Giovanni II, accumulato negli ultimi anni del suo potere, si riversa in modo tangibile anche contro quelli che ne erano stati i simboli: nel maggio del 1507 i bolognesi distruggono dalle fondamenta la sua sfarzosa domus, cancellando una delle più significative testimonianze della raffinata cultura cortese bentivolesca. Dalle cronache si apprende infatti che il sontuoso edificio, esteso nell'ampia superficie di un isolato su Strada San Donato, commissionato nel 1460 da Sante Bentivoglio all'allievo di Michelozzo, Pagno di Lapo Portigiani, e portato a termine da Giovanni II, diviene oggetto di una sistematica distruzione e di una accanita depredazione: dai giardini alle stanze interne, nulla viene risparmiato.

Nella terza ed ultima sezione della mostra, (La Domus aurea bentivolesca e la sua distruzione) vengono presentate alcune opere appartenute a Giovanni II e alla sua famiglia, rinvenute nell’area del "guasto" della domus: a richiamare la vita di corte ed i suoi squisiti rituali sono esposti i due rilevanti vasi biansati di scuola spagnola (Malaga, fine sec. XV), il pettine in avorio ed il frammento di affresco con due figure maschili, riferibile a Francesco Francia intorno al 1500, unica testimonianza dell'impresa compiuta dall'aurifex bolognese nella parete della stanza privata di Giovanni II.