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Nell'ambito di ART CITY Bologna il Museo Civico Medievale presenta Contatti indicibili, mostra bipersonale di Giovanna Caimmi e Giulia Dall'Olio a cura di Maria Chiara Wang.
Il progetto espositivo nasce come manifesto per un ritorno alla percezione, alla riscoperta di quell’insieme di sensorialità, sensibilità e istintività quali elementi fondamentali per instaurare un dialogo con l’opera. In tale scambio non servono le parole per spiegare il contenuto, occorre altresì una giusta predisposizione d’animo. La dialettica diventa, in tal modo, il sistema entro il quale i dati sensoriali acquisiscono significato riuscendo a concepire ciò che non si lascia dire. L’atto conoscitivo che ne risulta è dinamico e aperto anche alle contraddizioni, all’inaspettato, al dissonante a ciò che si emancipa da schemi e categorie. “L’arte con la sua fisionomia plurale”, secondo la definizione di Franco Cambi in Riflessioni sull’“indicibile”, diventa il linguaggio che ci apre all’indicibile traducendo il pensiero in emozione.
E il contatto? È l’immediatezza, ovvero l’assenza di media tra soggetto e oggetto artistico, è l’esperienza che si ha degli altri corpi e di noi stessi nel medesimo momento, ma è anche la compressione dello spazio e del tempo come nel caso di Contatti indicibili ove l’arte contemporanea viene affiancata a manufatti medievali secondo un accostamento apparentemente inconciliabile, articolato e complesso reso però possibile dal tessuto delle relazioni sottese.
Le opere di Giovanna Caimmi dialogano con quelle di Giulia Dall’Olio e con l’ambiente circostante attraverso il racconto di una natura incontaminata, lussureggiante, a tratti romantica, una natura che nei secoli è stata spesso custode di quei reperti di epoche passate riemersi nel tempo e custoditi nelle sale del Museo.
In particolare, Giovanna Caimmi affianca alla qualità pittorica dei disegni il lavoro di ricerca e di archivio; è così che in mostra accosta ai “grovigli naturali” modellati con matita e carboncino su carte veline sovrapposte, Tiber: un’installazione che racchiude e condensa in sé l’indagine storico-artistica che ha condotto su un triplice fronte: quello dei Deutsch-Römer, artisti tedeschi venuti in Italia affascinati dal mito di Roma e della nostra Penisola, quello relativo alle vicende del giovane Carl Philipp Fohr annegato nel Tevere nel 1818 e quello autobiografico.
Nelle parole della curatrice Maria Chiara Wang: “L’elemento che accomuna la produzione dell’artista, sia in seno alle singole opere che trasversalmente all’intero corpus dei suoi lavori, è l’affastellamento, la ridondanza di linguaggi, media e segni; ciò determina un surplus rumoroso che unitamente al peso e alla consistenza delle carte e degli elementi contenuti nell’installazione conferisce una qualità sinestetica ad ogni sua creazione”.
Giulia Dall’Olio espone, invece, oltre ai suoi caratteristici lavori in bianco e nero, una nuova serie di opere nelle quali entra significativamente in scena il Blu come tributo a un’epoca, quella medievale, che, a partire dal XII secolo, impiega tale colore in maniera iconografica e simbolica assegnandogli, data la sua rarità, un valore spirituale e divino. Inoltre, come scrive Michel Pastoureau in Blu. Storia di un colore, il blu è “luce sui cui s’iscrive tutto ciò che è creato”: quale sfondo allora risulta più adatto per mettere in risalto una natura selvaggia e rigogliosa ritratta con un segno che si fa via via più libero e istintivo?
“Nei disegni di Dall’Olio - osserva ancora Wang - il colore diviene la scenografia dove prende corpo la drammaturgia del gesto, la materia dalla quale l’artista, come uno scultore, fa emergere la vegetazione attraverso l’uso di cancellature con tecnica a levare”.