(Clicca sull'immagine per visualizzarla a tutto schermo)
L’arrivo nelle sale del Lapidario del Museo Civico Medievale della preziosa Croce dipinta di Marco Zoppo, proveniente dal Museo di San Giuseppe dei Cappuccini di Bologna, è un’occasione importante per poter ammirare da vicino uno dei massimi capolavori dell’artista centese, difficilmente visibile per il pubblico dal suo appartato, consueto luogo di conservazione. Ben conosciuta agli studi, la Croce costituisce insieme al polittico della Chiesa di San Clemente al Collegio di Spagna una tappa significativa nell’attività bolognese dell’artista, dopo il suo ritorno da Padova e Venezia. Già dal 1453 troviamo Zoppo a Padova, dove compie l’alunnato presso la bottega di Squarcione, da cui recupera un gusto nutrito di archeologismi, appassionato dell’antico. Al rientro dai soggiorni padovano e veneziano, negli anni che vanno dal 1455 al 1463 circa, il pittore mette quindi mano a quella che, a buon diritto, può considerarsi una testimonianza fra le più alte del coevo panorama artistico bolognese.
L’originaria ubicazione della Croce non è nota, ma la raffinata qualità esecutiva lascia ipotizzare una commissione per un’importante chiesa cittadina: ancora di matrice tardogotica si rivela il laborioso impegno della carpenteria, mentre innovativi appaiono l’impianto, già contrassegnato dalla lucida razionalità spaziale di scuola toscana, e l’accentuazione patetica delle figure dolenti.
Nella Crocifissione, abbandonato l’artificioso classicismo archeologico di derivazione squarcionesca, l’artista si avvicina decisamente ai modelli che rimandano alla cultura pierfrancescana, da lui conosciuti sicuramente a Bologna, dove la presenza del grande maestro della civiltà prospettica è documentata dal famoso matematico Luca Pacioli all’interno De divina proportione.
Attraverso l’esposizione del Crocifisso zoppesco e di altre opere collegate a Bologna, i curatori della mostra, Massimo Medica e Donatella Biagi Maino, intendono approfondire questo particolare momento della tradizione artistica cittadina, presto apertasi, pur nel retaggio di certe consuetudini tardo gotiche, ai nuovi fatti della cultura centro-italiana, sollecitato dalla presenza stessa di Piero della Francesca a Bologna tra il 1452 e il 1453.
In mostra saranno quindi presenti numerosi dipinti su tavola, preziose miniature, tra cui un’importante opera di Cristoforo Canozzi da Lendinara (Adorazione del Bambino con San Bernardino e l’Eterno Benedicente, Modena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna), del miniatore Bartolomeo del Tintore (Statuti del Comune del 1454, Bologna, Archivio di Stato; Statuti della Società dei Notai del 1459, Bologna, Archivio di Stato) e dell’Ignoto Pittore bolognese autore dei Santi Ludovico, Francesco, Bernardino e donatori (Bologna, Collezioni Comunali d’Arte) che documenteranno i primi riflessi di un linguaggio aggiornato su ardite soluzioni prospettiche e salde geometrie volumetriche.
L’invenzione adottata da Marco Zoppo nel suo Crocifisso sarà replicata di lì a poco nel polittico di San Clemente (Collegio di Spagna), opera che diverrà modello imprescindibile per gli altri artisti cittadini, tanto che l’amico Tommaso Garelli ne riproporrà le forme nello smembrato polittico del Museo di Santo Stefano a Bologna, di cui in mostra vengono esposti la Cimasa con Cristo in Pietà e quattro piccole tavolette raffiguranti i santi, a sottolineare il ruolo-chiave ricoperto dal maestro centese.