Il Museo internazionale e biblioteca della musica, nato nel 2004 per custodire le collezioni di beni musicali del Comune di Bologna, ha sede all'interno di Palazzo Sanguinetti, nel centro storico di Bologna, riaperto al pubblico dopo un lungo e attento restauro.
Storia ed architettura
Il nucleo originario del palazzo, agli inizi del XVI secolo, apparteneva alla famiglia Loiani. Nel 1569 l'edificio fu venduto ai fratelli Ercole e Giulio Riario - ramo bolognese di una famiglia di Savona imparentata con i della Rovere.
Acquistati terreni ed edifici confinanti, il senatore Ercole Riario fece ricostruire e ampliare la dimora, secondo i criteri di grandiosità e fasto allora imperanti tra le famiglie più in vista: le singole abitazioni furono unite in una struttura unitaria e si impostò probabilmente allora lo scalone scenografico che tuttora caratterizza l'edificio.
Il secondo intervento strutturale importante fu per volere del conte Antonio Aldini, al quale nel 1796 il marchese Raffaello Riario Sforza aveva concesso il palazzo in enfiteusi: egli diede incarico all'architetto Giovanni Battista Martinetti (1774-1830) di rimodernare il palazzo, aggregandovi anche parte della confinante casa con la torre che era stata degli Oseletti. Si decise allora di abbassare e dividere in due stanze il grande salone cinquecentesco che si trovava in corrispondenza delle due sale più ampie dell'attuale Museo, il vestibolo, o Sala delle Virtù, e la Sala delle Feste.
A seguito della caduta di Napoleone e della rovina economica di Aldini il palazzo fu venduto al nobile cubano don Diego Peñalverd, già membro del governo napoleonico. Alla sua scomparsa, avvenuta nel 1832, il palazzo passò al celebre tenore Domenico Donzelli: è noto che Gioachino Rossini fu suo ospite, poiché la sua dimora, che si trovava a pochi metri da lì, era in ristrutturazione. Nel 1870 il palazzo fu acquistato dalla famiglia Sanguinetti, alla quale si devono le più recenti decorazioni nella parte dell'edificio destinata a biblioteca, e in particolare la cosiddetta "saletta egizia", i cui meravigliosi affreschi sono emersi in occasione del recente restauro del palazzo. Opera del pittore Gaetano Lodi, le ricche decorazioni parietali rimandano al vasto repertorio iconografico dell'arte egizia dei secoli XIV e XIII a.C. che Lodi aveva studiato nel corso di diversi soggiorni al Cairo negli anni tra il 1873 e il 1877, durante i quali realizzò le pitture di una sala da pranzo all'interno dell'harem a Ghisec, diversi decori nel palazzo Khedivale e i disegni per un servizio da tavola realizzato per il vicerè dalla ditta Richard Ginori.
Nel 1986 l'ultima erede, la signora Eleonora Sanguinetti, ha donato al Comune di Bologna la gran parte dell'edificio, a ricordo - come scrisse nel suo testamento - del "mio indimenticabile papà, dottor Guido Sanguinetti, nel cui nome e nella cui memoria, per l'amore che ebbe sempre per la sua città e la sua casa, ho voluto a suo tempo la donazione del palazzo di Strada Maggiore 34, perché fosse destinato a museo musicale e biblioteca".
Le decorazioni
Le decorazioni di Palazzo Sanguinetti rappresentano per Bologna una delle più significative testimonianze degli anni napoleonici, tanto da costituire un'esemplare antologia della decorazione neoclassica tra Settecento e Ottocento.
Agli inizi dell’Ottocento Bologna non appariva nell’aspetto monumentale più tipico dell’età napoleonica. Un arco di trionfo era stato eretto fuori porta San Felice per l’ingresso di Napoleone in città così come la colonna della pace in piazza Galvani, ma per scorgere un frontone neoclassico e colonne improntate al rigore archeologico occorreva volgere lo sguardo verso la collina, dove la villa dell’uomo più influente dell’amministrazione francese Antonio Aldini, dominava sulla città come fosse un antico tempio.
Seppure ormai anche Bologna con l’arrivo dei francesi nel 1796 si trovava coinvolta a voltar pagina verso la modernità, un’antica prassi tutta bolognese tendeva a dare maggior risalto e grandiosità all’interno di un edificio piuttosto che al suo prospetto, ed è nel sorprendente fiorire della pittura murale e nell’arredo che il nuovo ceto giacobino e napoleonico riponeva i simboli della propria ascesa sociale.
Divenuto uno dei personaggi più vicini a Napoleone e investito delle cariche pubbliche più importanti, l’avvocato Antonio Aldini aveva affidato all’architetto Giovan Battista Martinetti il compito di ammodernare l’antico palazzo dei Riario, per farne la sua residenza in città, e dirigerne i lavori di abbellimento pittorico insieme a Francesco Santini.
L’armonia e la coerenza che lega l’esterno del palazzo alla sua loggia, le arcate vere del primo cortile a quelle illusive dello scalone scenografico illuminato dalla tradizionale lanterna, è il frutto di un dialogo complementare che Martinetti instaura con una validissima schiera di decoratori, figuristi e scenografi, aggiornati alle istanze pittoriche del momento.
La varietà di stili e di soggetti trattati nelle sale dell’appartamento al primo piano per mano di Vincenzo Martinelli, Pelagio Pelagi, Serafino Barozzi, Antonio Basoli, e nelle quattro salette al pianterreno decorate da Felice Giani al suo debutto bolognese (ora di proprietà privata), fanno di Palazzo Aldini una vera e propria antologia decorativa in linea con il gusto neoclassico internazionale, soprattutto francese. Un documento visivo della società napoleonica e del suo modo di abitare alto-borghese che è nei salotti, nelle stanze da caffè e nelle sale da ballo delle proprie dimore che ha vissuto quel delicato momento di passaggio fra la tradizione ancien régime e il rinnovamento repubblicano.