(Clicca sull'immagine per visualizzarla a tutto schermo)
Il liuto è uno strumento antichissimo, presente in molti paesi del mondo dal Marocco alla Cina: in ogni paese il suo nome deriva sempre dalla parola araba ‘ud che significa “legno”.
In Europa il liuto fu portato dai commercianti musulmani (un’antica attestazione del suo arrivo in Italia, nel secolo XII, la troviamo nei dipinti della Cappella Palatina di Palermo, ad esempio), ma col passare del tempo ha assunto forme diverse in ogni paese d’arrivo generando nuovi strumenti in base ai diversi contesti.
In Spagna, ad esempio, dopo la Reconquista – ovvero la progressiva espansione, avvenuta nel Medioevo, dei regni cristiani del nord della penisola iberica ai danni del califfato musulmano – il liuto venne adottato dai principi e dai Re cristiani come nuovo strumento di corte, in contrapposizione alla più “volgare” e popolare chitarra. Nel corso dei secoli, e in particolare nel Rinascimento, il liuto divenne dunque uno dei simboli dell’aristocrazia, fino agli stravolgimenti sociali che ne decreteranno la fine. A fine ‘700 il liuto passerà definitivamente di moda e i costruttori per sopravvivere si dedicheranno unicamente agli strumenti ad arco… professione che però ancora oggi porta nel nome questa storia: il liutaio.
I liuti esposti in museo sono tutti di fine ‘500 o inizio '600, e se osservate bene le didascalie noterete che i nomi dei costruttori sono quasi tutti tedeschi. Questo perché nella cittadina di Füssen, importantissimo centro di liuteria, proprio nel ‘500 venne sciolta la corporazione dei liutai a causa delle sanguinose guerre di religione fra principi cattolici e protestanti. I liutai dunque fuggirono in Italia e si stabilirono in Veneto e in Emilia-Romagna, che già tradizionalmente avevano ottime scuole di liuteria.
In vetrina sono dunque esposti liuti di varie dimensioni: liuto tenore, basso, granliuto e arciliuto. Accanto ad essi vi sono alcune intavolature, ovvero le partiture “pratiche” che (come ancora è prassi per la chitarra) non indicavano le note da eseguire ma le posizioni da tastare sul manico. Il liuto diventa così lo strumento polifonico per eccellenza, sempre più emancipato dall’iniziale funzione di mero accompagnamento al canto. In vetrina sono esposte alcune meravigliose edizioni di lusso (stampate da Dorico e da Gardano) e le rarissime edizioni del compositore bolognese Alessandro Piccinini.
Infine, nella piccola vetrina verso Sala 8, è esposto il cosiddetto “liuto rotto” di Hans Frei, sopra ad uno splendido metodo per l’accordatura del liuto del 1597. Abbiamo così la possibilità di osservare l’interno di un liuto, con i suoi spicchi curvi di legno e con la carta che li tiene insieme. Avete notato che ci sono note e pentagrammi su questi lembi di carta? Nel secolo della nascente editoria musicale, raccontato proprio dai documenti di questa sala, stampare spartiti era molto costoso, e ad ogni foglio di carta si rischiava di commettere molti errori... vendere le stampe venute male ai costruttori di strumenti poteva essere un ottimo modo per riciclare la carta!
Torna in sala 5 per altre storie.