La sala delle Feste

Le decorazioni di Sala 5

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Nella sua struttura originaria questa sala corrispondeva ad un unico grande salone cinquecentesco, con affreschi a riquadri che correvano lungo la sommità delle pareti per narrare le gesta degli antichi proprietari, i Riario. A quella sontuosità, degna di un palazzo senatorio, il gusto borghese di fine Settecento preferisce la comodità e segue la moda tutta francese di abbassare soffitti e suddividere pareti per creare ambienti nuovi e più raccolti, da cui la Sala del Vestibolo (Sala 8).

La cancellazione degli antichi affreschi dava così spazio a tutto ciò che in quel momento si potesse desiderare in fatto di decorazione d’interni per mano di uno dei più abili quadraturisti bolognesi del tempo, Serafino Barozzi.

Lontano ormai dalle grandiose scenografie teatrali di tradizione prospettica, che ampliavano gli spazi dei saloni da ballo sfondandoli su altri virtualmente adiacenti, qui il gioco illusionistico è espresso da forme più sobrie e di gusto archeologico: non più colonnati in sequenza prospettica bensì colonne corinzie scandite in modo regolare o ad esedra, affiancate a paraste floreali e cariatidi, cammei, vasi e tripodi accesi, oltre ai lacunari del Pantheon e comparti a monocromo con storie dell’antica Roma.

Il mondo della guerra fatto di trofei d’armi, carri e scudi imperiali sorretti da coppie di aquile, si accorda bene con oggetti e simboli appartenenti all’universo della sapienza e dell’arte (pittorica e musicale), ma anche con misteriose allusioni che fanno parte dell’iconografia massonica, come il tempio della luce decorato nella volta a finti cassettoni, insieme alla stella che gli corrisponde sul pavimento.

L’Apollo del Belvedere dipinto in monocromo dentro ad una finta nicchia non rappresenta solo un capolavoro del mondo classico, simbolo di perfezione estetica, ma è un chiaro riferimento al dominio francese sullo Stato Pontificio al quale aveva sottratto la statua nel 1797 per spedirla a Parigi insieme ad altre opere d’arte. Anche il monocromo dipinto nella finta nicchia di fronte, con la statua di Tersicore, musa della danza, è un’esplicita allusione alla destinazione della sala.

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