musica e mass media nella politica culturale del fascismo

L'industria della persuasione

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a cura di Francesco Finocchiaro
con Alessandro Faccioli e Giovanni Chiriacò (Università di Padova)
in collaborazione con Athena Musica

Il fascismo fece un uso tutt’altro che ingenuo della musica, del cinema e dei mezzi di comunicazione di massa. Sin dalla sua ascesa nel 1922, il regime intraprese un vasto progetto di programmazione della “cultura popolare”: varò una propria estetica, stabilì un canone artistico, costruì una tradizione in senso nazionalistico ed edificò un’enciclopedia culturale a proprio uso e consumo.
Il programma d’indottrinamento delle masse e costruzione del consenso messo in atto dal regime fece leva soprattutto su un uso capillare dell’industria culturale, trasformata in una vera e propria “industria della persuasione”. 
Il regime mussoliniano commissionò creazioni cinematografiche “di tendenza”; bandì e concorsi per musiche operistiche e strumentali che celebrassero le imprese del fascismo; incentivò la produzione di inni, canzoni e musiche corali che riunissero il popolo italiano in una sola voce; promosse creazioni delle arti figurative ispirate a un vero e proprio canone estetico di regime.
Una ricca produzione di letteratura critica ha messo a tema negli ultimi anni l’industria culturale del fascismo, prendendo in esame i meccanismi di costruzione del consenso, l’esercizio della censura, la cinematografia “di tendenza”, la cultura popolare, l’apparato industriale e amministrativo, l’immaginazione coloniale, l’attività giornalistica e radiofonica ecc. Da questa operazione di riscoperta storiografica è stata inspiegabilmente tagliata fuori finora la componente musicale: ciò ha portato a ignorare la grande parte di un paesaggio musicale quanto mai variegato, stratificato, polistilistico, che pervade il Ventennio in un fluire di parate militari, pellicole, grammofoni, radio ecc.

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